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Google e gli stratagemmi fiscali alle Bermuda

 
Martina Oliva
11 Dicembre 2012
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Google bermuda tasse

Così come già fatto da varie altre aziende di una certa stazza appartenenti al settore dell’IT anche Google si è affidata ai paradisi fiscali nel tentativo di pagare meno tasse ed evitando, in tal modo, di dover versare, anno dopo anno, miliardi di dollari nelle casse dei paesi in cui opera e, nello specifico, di quelli europei.

Già negli scorsi giorni, in seguito alla visita della Guardia di Finanza negli uffici italiani di Google, si era iniziato a parlare della questione approfondita poi nel corso delle ultime ore in seguito ad un interessante report pubblicato da Bloomberg.

Nel dettaglio, nel 2011 Google ha evitato di pagare circa 2 miliardi di dollari di tasse sul reddito aziendale trasferendo fatturato per 9,8 miliardi di dollari a una società di comodo alle Bermuda.

Tale operazione è stata resa possibile grazie alla messa in atto di pratiche ad hoc quale quella denominata, in gergo, “double irish”, che richiede il controllo di due società con sede in Irlanda, uno stato che offre una pressione fiscale abbastanza bassa, e quella chiamata “dutch sandwich”, che consiste nel far transitare il denaro in Olanda destinandolo poi a mete più lontane come, in questo caso, le Bermuda.

Dal punto di vista legale non vi è nulla di non consentito ma si tratta sicuramente di una strategia messa in atto per sfruttare un vuoto legislativo e diversi paesi hanno già dichiarato l’intenzione di voler far fronte al più presto alla cosa.

Google ha tuttavia difeso il proprio operato dicendo di essere in regola e che i suoi investimenti stanno aiutando l’Europa ad uscire dalla crisi.

Numeri alla mano big G avrebbe dato lavoro a 700 persone in Germania e a circa 2000 nel Regno Unito.

 

 

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